L’esperienza della resa per alcune persone è impensabile.

Talvolta ci si ritrova come tra le corde di un ring: nonostante un diretto forte, in pieno viso, si è pronti a ripartire, ad andare avanti.

Tenaci, pazienti, resistenti. Il non arrendersi, lì, è funzionale. (… quasi sempre).

Così, anche in situazioni di vita oltre quei guantoni. Nella quotidianità, ci sono situazioni, relazioni, eventi in cui in tutti i modi possibili si prova, riprova, e prova ancora, con tutte le forze, perché: “di cosa ti lamenti”, “resisti ancora un po’”, “quello che provi non ha senso”, “ai miei tempi…”, “c’è di peggio”, “si è sempre fatto così” …Eppure, proprio lì, nello s-forzo, in una sorta di patteggiamento con noi stessi in cui si prova a guadagnare altro tempo, il corpo inizia a parlare.

Lì, la resa, diventa una strada possibile.

Nella mia continua ricerca in esperienza scopro sempre più che attraverso l’ascolto dei segnali del proprio corpo e delle proprie emozioni ci sono movimenti capaci di indicare la nostra migliore strada, che sono a portata di mano, ma talvolta non semplici da riconoscere.

Proprio come le mani, che possono mollare la presa, la chiusura a pugno e cambiare posizione, arrendendosi a sé, così anche noi possiamo aprirci, distenderci e arrenderci a loro. Loro che si stringono a pugno quando si è arrabbiati e che possono aprirsi quando ci si sente al sicuro, rilassati, accolte. Loro che possono passare dal colpire al massaggiare, all’accarezzare…Nella resa.

Così, nella quotidianità, per alcune persone, la resa è come se fosse qualcosa di simile ad una frase di un cartiglio ricevuto in dono, che suona un po’ così: “arrendersi mai”.

Resa: a cui fare resistenza, attraverso tutti i tentativi possibili, sforzandosi e farcendola di aspettative altrui, mandati trigenerazionali, credenze, timori.

L’enciclopedia Treccani definisce, tra le prime righe, la resa come “l’azione, il fatto di arrendersi, come cessazione di ogni resistenza di fronte al nemico”.

Di fronte al nemico.

Cessare di fare resistenza al nemico.

Cessare di resistere a noi.

Mi piacerebbe aggiungessimo, se non nel vocabolario sopra citato, almeno nel nostro, insieme ad un nuovo allenamento, questo:

Resa: Cessazione di resistenza alla propria forza, alla propria delicatezza, al proprio non sapere e al piacere.

Resa alle scelte, ma prima ancora resa alle emozioni. Resa al proprio sentire e al non capire. Resa alla rabbia, alla tristezza, alla fragilità, alla gioia. Resa al corpo con i suoi segnali. Resa al cuore e alla sua luce. La propria luce. Resa nell’ abbracciarsi totalmente. Resa alla vita, lasciandola accadere. Resa alla morte e all’essere mortali.

Allenare questa nuova resa condividendo e condivivendo nella reciprocità di luoghi sicuri in cui esprimere liberamente i propri movimenti, le proprie fatiche, gioie, scelte, crisi, dolori, rabbie, confusioni, entusiasmi, creatività. In cui accarezzarsi con uno sguardo, un gesto, una parola, un respiro, un tocco, una presenza. In cui regalarsi un’esperienza nuova, in reciprocità, per creare una nuova memoria di presenza altra, di sostegno, di coraggio, di possibilità.

Sentire nuovamente di appartenere, riscoprendo la propria vitalità.

Ecco, è vitale lasciare spazio alla resa a sé.

A ciò che si è da sempre nel profondo.

È un percorso dai kilometri indefiniti, ma restituisce qualità alla nostra vita.

Continuerò ad accompagnarmi e ad accompagnare in percorsi di allenamento alla resa a sé.

Che sia un anno di profonda e nuova resa per ognuno ed ognuna di noi.

In conTatto.

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